Cristina Contini

La fondatrice
Cristina Contini
“Sentire le voci, per me, è diventata un’attività naturale quanto camminare e respirare.”
La mia storia

Nata nel ‘66, ho un figlio ormai grande e svolgo un lavoro di forte responsabilità, sono amata e rispettata.
Sono la testimonianza vivente che si può essere amati e rispettati nonostante il disagio iniziale e l’ipersensibilità che mi provocarono le voci.
Sento le voci da quando sono stata in coma, all’età di 19 anni e mezzo. Esse hanno sicuramente alterato in maniera importante gli equilibri della mia vita di giovane donna, in procinto di iniziare con sano entusiasmo la propria vita adulta, fatta di famiglia-casa-lavoro.
Nonostante tale sovvertimento, non mi sono mai ritrovata schiava delle voci, né ho dovuto farle tacere attraverso farmaci o tantomeno psicofarmaci.
Non voglio, con questo, infondere l’idea che si sia trattato di una passeggiata, anzi! E’ stato solo grazie ad una necessaria e grande disciplina interiore che sono riuscita a ritrovare un nuovo equilibrio e a fare del “sentire le voci” un vero e proprio punto di forza.

Le angosce e i problemi che percepiamo sono nei nostri pensieri e quando la voce udita è mentale, è il problema che parla: se non lo si comprende rimane in “tuta da lavoro”, ovvero continua a farsi sentire. Nel momento in cui il problema viene affrontato, questa fase operaia si trasforma in accettazione, che consente di intraprendere un cambiamento verso la soluzione.
La mia testimonianza è, in un certo qual modo e soprattutto in questo contesto, strettamente collegata a tratti di realtà altrui del sentir voci. Solo questa stretta connessione mi consente di comprendere ancora più facilmente i tentennamenti e le difficoltà iniziali di alcuni uditori, come del resto l’entusiasmo per i successi ottenuti.
Quando una persona è presa di mira dal pregiudizio psichiatrico, comunque si comporti e in qualunque modo si esprima, non esce più dalla gabbia che le è stata costruita intorno.

 

Con la mia esperienza, a prescindere dal fatto che le voci sentite siano vissute come un disagio mentale, come un disturbo emotivo o come una sorpresa dell’universo, sono testimone di passaggi quasi obbligati per chi s’impegna, o per chi è costretto ad impegnarsi, in un lavoro per migliorare se stesso. Le voci, a seconda del contesto, assumono la connotazione di Sofferenza o Dono. Nel mio caso chiudo ogni mia giornata con un sentimento di gratitudine per ciò che è stato e per ciò che sarà, indipendentemente dalla condizione esistenziale in cui vorrei trovarmi.

Un’ostrica da un granello di sabbia crea una perla. Il granello, elemento di disturbo al suo interno, la costringe a secernere un rivestimento protettivo e liscio che le dà sollievo. Il risultato che ne deriva è bellissimo: una perla. Questo esempio ci aiuta a considerare che quando un cambiamento genera elementi disturbanti, non sempre significa che la ricezione sgradevole iniziale debba restare per sempre. Anzi, nella grandissima maggioranza degli uditori assistiti e responsabilizzati, come parte attiva della propria riabilitazione interiore, si è verificato esattamente ciò che avviene per l’ostrica, ovvero, benché l’intruso sia stato irritante, in seguito è divenuto germe per qualcosa di nuovo.

Il mio sentire

 

Il mio cominciare a sentire le voci ha fatto emergere clamorosamente il mio Sentire. Non mi ero mai chiesta prima quanto fossi aperta o chiusa all’amore, agli altri o a me stessa. In un certo senso è come se avessi sentito quanto non mi fossi mai concessa di Esistere. Questo è un metro di valutazione che dovremmo regalarci tutti. L’affrontamento delle voci è realmente e facilmente applicabile perché prima di tutto ha a che fare con il mentale, quindi il pensare, con tutte le sue parole e reazioni.
Il pensare è ampiamente spiegabile rispetto al sentir voci, perché è costituito da parole, mentre il Sentire deve essere illustrato in tutte le sue sfumature.
Il mio sentire l’ho compreso appieno solo con l’esperienza diretta. Il sentire le voci non è solo un fenomeno a livello uditivo, quindi corporeo, bensì emozionale e spesso anche spirituale.
Nel sentire non c’è interpretazione, cosa invece che prende avvio nel pensare.
Grazie ai nostri sensi, ai nostri stati fisiologici e a quelli emozionali, anche le sensazioni nascondono un messaggio. Si pensi a quando il nostro corpo, esausto, genera un malessere che non sempre riusciamo a identificare. E’ ovvio che nella vita quotidiana è bene affidarsi a questo sentire solo in certi momenti e al pensare nella maggior parte.
Nella quotidianità i nostri pensieri costituiscono le fondamenta sia del nostro apprendimento che dell’uso consapevole del sapere; non per questo ciò che non rientra nel Pensare deve essere considerato con opinioni precostituite.
L’affidarci, a volte, alle nostre sensazioni può aiutarci a dare un significato a una determinata esperienza e così divenire fonte d’apprendimento. Per me è così. Nel nostro sentire primordiale non siamo manipolabili, ci resta difficile credere che una sensazione sia spiacevole se noi la sentiamo piacevole. Se sento di stare bene con una determinata persona mi resta difficile pensare di non starci così bene soltanto perché mi viene detto il contrario.Sentire le voci è da sempre un’esperienza che rientra nella sfera umana, ma riempiendola dall’esterno soltanto di giudizio e cronicità diviene esplicita la chiara intenzione d’inquinare il pieno godimento di questa importante esperienza, a prescindere che sia vissuta positivamente o negativamente.
E’ grazie al sentire che possiamo provare piacere o dolore.
E coloro che solitamente riescono a vivere molto intensamente questi due stati d’animo tendono a definirsi o a essere definiti ipersensibili. Ognuno di noi deve scegliere per se stesso. Se qualcuno ha perso il potere per farlo è nostro dovere aiutarlo affinché se ne riappropri.

La diversità

 

L’etimologia della parola Diversità è carica di senso, molto coinvolgente e mi fa respirare per un attimo l’emozione di sentirsi liberi, soprattutto se diversi.
Questo termine ha origine dal latino devertere che significa “dirigersi verso”, pertanto la diversità dovrebbe prepararci a un atteggiamento basilare: quello dell’apertura. Quando voglio spiegare quanto la diversità altrui mi attiri, uso la metafora della calamita. A volte percepisco come certi eventi e certe persone sono Diversamente Importanti in funzione di quanto mi sento calamitata.
Per comprendere la diversità non servono soltanto competenze culturali o teoriche, ma contribuiscono e completano soprattutto quelle relative all’esperienza diretta. Infatti ascoltare e credere ad una persona che racconta la propria personale esperienza aiuta molto, a prescindere dal ruolo che questa ha. Perché chi ha vissuto certe situazioni le ha provate sulla propria pelle, e il segno che è rimasto conferisce credibilità al suo parlare. L’esperienza della mia diversità credo abbia reso la mia motivazione estremamente ricca.
In medicina non è così scontato il concetto, in quanto la diversità è sempre più vissuta come una minaccia, come paura e pericolo. La psichiatria ne è la manifestazione pura. L’inusuale suscita sospetto e il sospetto genera paura. Ma la paura maggiore è per le differenze profonde.
Certi tipi di paure sono anche segno di insicurezza, quindi anche questo è il problema. E’ dall’insicurezza infatti che nascono autorità e leggi rigide.
Purtroppo il timore delle differenze genera anche conflitti e odio. Sono tante le testimonianze che ho raccolto da ragazzi/e tenuti legati per settimane e picchiati in reparti dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura.
Nell’ambiente sociale, di norma, l’atteggiamento maggiormente assunto è la chiusura. Una persona che sente le voci è resa da queste sostanzialmente assai diversa dalle altre, benché appartenga alla stessa categoria (sociale, culturale, economica, d’età, ecc).
La mia esperienza mi porta sempre più a credere che la ragione profonda derivi dal fatto che alcuni professionisti della “psichiatria” come altri nella “psicologia” non lavorano mai direttamente sulla realtà nuda e cruda, ma
sempre su modelli. Pertanto la paura e la differenza fanno così dell’uditore una maschera o addirittura, per i mass media, un mostro, come se i mali fossero tutti dentro di lui, e solo in lui. La mia esperienza all’interno dei modelli sopracitati mi ha spinto ad aiutare loro a conoscere le voci dettagliatamente, in chi le sente e in chi ancora non le sente, rappresentando una complessità importante per cui l’etichettatura perde immediatamente di senso.
Il Sapere etichettato, costruito sopra alla Diversità delle persone che sentono le voci è un sapere edificato da un rapporto di potere, che in modo ingannevole, consapevolmente o inconsapevolmente, ci fa credere di
sapere tutto su quella persona. Nonostante tutte le difficoltà incontrate ho conosciuto operatori e professionisti molto “aperti” ad una comprensione/ascolto meravigliosa.
Il mio grazie e ricambio di stima è offrire loro la possibilità di “mettere in campo” le proprie competenze, i propri modelli e le strategie apprese insieme continuando fattivamente le collaborazioni.

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