Le voci, come mezzo di comunicazione tra gli uomini, dal mondo della musica a quello radiofonico, sono intese come “suoni generati per azione delle vibrazioni delle corde vocali”. Ma quando si parla di voci sentite inaspettatamente, esse non vengono contemplate come mezzo di comunicazione, a prescindere dalla loro origine.
Purtroppo quando queste divengono un problema, la medicina della Salute Mentale le studia in chiave soprattutto psichiatrica. Nell’ambito psichiatrico la voce è definita come “un’allucinazione prodotta da una percezione che attiva la nostra corteccia sensoriale in assenza di una corrispondente stimolazione dei recettori periferici”.
Un uditore di voci invece, quando sente una voce non si chiede cosa essa sia, perché, sentendola, non si pone questo dubbio. Semplicemente non si crede, in quell’istante, che vi possa essere un’assenza di una stimolazione corrispondente.
La voce pronuncia, nella maggior parte delle situazioni, parole esattamente nella medesima forma in cui le pronuncia qualsiasi uomo o donna, bambino o anziano. La fenomenologia del sentire, oltre alle voci, comprende anche i suoni, i rumori e le musiche.
Chi fa l’esperienza delle voci è considerato differentemente, anche a seconda del contesto sociale e culturale in cui vive. Nell’ambito psichiatrico ad esempio non viene preso in considerazione nemmeno quello storico, benché molti martiri e santi siano stati riconosciuti tali proprio anche in virtù di questa caratteristica del sentire le voci.
Nella cultura egizia sentire le voci dei morti era considerata un’esperienza normale. Jung, nei primi del ‘900, elaborò la sua idea dell’inconscio collettivo, considerando le voci come una manifestazione di un contatto con il mondo spirituale e inconscio che tutti noi condividiamo.
“Quando l’orecchio si affina diventa un occhio”.(Rumi, poeta e mistico persiano del XIII secolo)